
Primo giorno a New York City
Dunque, vi avevo lasciato che stavo partendo da Boston per raggiungere la città della grande mela. Ma perchè poi si chiama grande mela? Ve lo siete mai domandato? Non voglio di certo fare la maestrina, ma l’uso di questo nomignolo risale al lontano 1909 quando Edward S. Martin paragona lo stato di New York a un melo, il cui frutto è appunto la città di New York. Il termine poi verrà impiegato da John Fitzgerald, un cronista sportivo, in un suo articolo dopo aver assistito a una gara all’ippodromo di New York. Se devo essere sincera a me piace quest’ultima versione (anche se sono tutte vere): i musicisti jazz, durante il proibizionismo, quando suonavano nei locali di Manhattan ricevevano come compenso una mela, “the big apple”.
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Dopo questa piccola curiosità, giungiamo a New York City che ormai sono le dieci di sera. Il nostro ostello si trova a Brooklyn, e per chi di voi guarda GossipGirl, sa bene che non è uno dei migliori quartieri di New York. Vi dico solo che la prima cosa in cui ci siamo imbattuti è stata una coppia di bambini che si stavano picchiando con dei bastoni in mezzo alla strada.
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Il nostro ostello era il New York Loft Hostel.
Arrivare di notte non è stata la scelta migliore, sembrava di essere in uno di quei film americani ambientati negli anni ’20, dove ad ogni angolo sbuca fuori un gangster. Vado avanti per prima per chiedere informazioni, lasciando i ragazzi in macchina con le valigie (noi italiani partiamo sicuramente prevenuti, ma in quel momento avevamo veramente paura ci rubassero persino le mutande). La ragazza alla reception ci invita a scaricare i bagagli e a spostare la macchina. Tutte le stanze si aprono solo con una scheda elettronica, persino per andare in bagno devi averla! Le camere sono nuove. Avevamo prenotato 5 letti in una camera da 12, ma per fortuna non tutti erano stati ancora prenotati.
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Supreme Court |
Il mattino seguente prendiamo la metropolitana e andiamo a Manhattan per fare colazione da Starbucks, dove la wifi è sempre gratuita! Vi consiglio di assaggiare il loro Frappuccino al Caramello, ovviamente non a colazione, e la cheese cake. Iniziamo a camminare, ma tra avenues e streets se non hai una guida non è facilissimo orientarsi; è vero che New York ha una struttura a reticolato, ma, che diamine, i palazzi son tutti uguali!
Gira e rigira, grazie alla mappa della LonleyPlanet arriviamo dove si erge l’edificio della Corte Suprema, esattamente al numero 60 di Centre Street. Tra una cosa è l’altra si era fatta quasi ora di pranzo, e si era pure messo a piovere. Noi cinque baldi giovani senza ombrello ci siamo riparati sotto i portici, dove si affacciavano un’infinità di negozi take away e tavole calde per ogni gusto, tranne che per quello italiano. Guardando le vetrine sono rimasta scioccata da una pizza: la pizza con gli hambuger! Mi ricordo che nonostante fossi ancora a stomaco vuoto, uno sforzo di vomito mi è venuto!
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l’interno del self service! |
Alla fine, optiamo per il meno peggio: un un self service dove potevi scegliere tra pizza, primi o insalate. Ci mettiamo in fila e, mentre aspettiamo il nostro turno, scopriamo che il direttore del posto è un siciliano il cui nonno era immigrato in America molti anni prima e gli aveva lasciato poi in gestione il locale. Con estremo orgoglio ci parla delle sue origini italiane, e ci offre del vero olio extravergine d’oliva. Nonostante il suo tanto insistere per prendere la pastasciutta, ho preferito ripiegare su un insalata, almeno ero sicura non fosse stata cucinata in modi strani!Prima di muoverci aspettiamo che la pioggia lasci posto al sole. Arriviamo a Little Italy, non chiedetemi come, ricordo solo che ad un certo punto mi son girata e ho cominciato a vedere il tricolore dappertutto, dalle insegne ai lampioni, agli idranti ai lati della strada. La cosa più bella è stata sentire le persone parlare italiano nei bar: ci siamo sentiti a casa anche in terra straniera.
Nel pomeriggio ci siamo diretti verso il ponte di Brooklyn, il quale si può percorrere anche a piedi, e noi che non ci facciamo mancare niente, l’abbiamo attraversato.
Arrivati a metà percorso ci fermiamo per ammirare il paesaggio. Dal ponte riusciamo a vedere la statua della libertà, che fiera porta in alto la fiamma simbolo eterno, appunto, della libertà, l’Empire State Building che, dopo la tragedia delle Torri Gemelle, è tornato ad essere il più alto grattacielo di New York.
Le auto sfrecciano veloci sotto di noi e, forse non è bello da dire, penso sia inevitabile pensare “cosa faccio che cado di sotto?”.
Sul ponte una serie di targhe ripercorrono le tappe della sua realizzazione, che è costata la vita a ben 30 operai su 700 che ne furono impiegati. Morì anche colui che ne ideò il progetto, in un incidente durante la costruzione, e il figlio, che prese il suo posto, rimase paralizzato. Non è di certo un ponte dalle storie felici, ma è comunque un simbolo per la città famoso in tutto il mondo, e perennemente fotografato sia di notte, con le sue luci splendenti, sia di giorno.
To be continued…
Liz
Ciao, io sono Elisa Pasqualetto, ma tutti ormai mi chiamano Liz. Sono nata a Venezia, anche se le voci dicono che non ci viva più nessuno. Nella vita lavoro freelance come Social Media Manager e Copywriter, mentre questo blog è solo una finestra sulla mia più grande passione: il viaggio.

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